immagine CC BY 3.0 – questa è una elaborazione grafica della foto di Sailko – wikimedia commons 

Una premessa

Al di là della “questione omerica” e del relativo dibattito circa l’attendibilità della composizione dell’Iliade e dell’Odissea da parte di Omero e sull’esistenza stessa di quest’ultimo, riteniamo che Omero non sia esistito fisicamente, ma è il nome dietro cui si cela un grande Iniziato che, in perfetto allineamento con la Scienza dello Spirito, ci ha consegnato quel filo rosso con il quale sono stati intessuti tutti gli insegnamenti dell’Antica Saggezza.

Con questi poemi egli ha voluto evidenziare la lunga via evolutiva della nostra esistenza, la stessa che molti secoli dopo anche il Cristo ci rammenta con la parabola del Figliol Prodigo.

Nell’Iliade Omero ha raccontato la prima parte di questo viaggio evolutivo, cioè la discesa nell’affermazione della personalità. Ed Achille rappresenta il modello dei valori che si voleva trasmettere ai Greci del VI sc. a.C.: il valore del coraggio, della forza, della nobiltà d’animo, dell’onore. Achille rappresenta la sintesi di tutte queste virtù, incarna la perfezione della personalità, meta da raggiungere per molti. La guerra delle personalità si concluse con un massacro per i vinti e un disastro per i vincitori; infatti in tali guerre non esistono vittorie ma solo crisi attraverso le quali bisogna scegliere, apprendere e crescere. Nel racconto dell’Iliade spicca un personaggio molto più evoluto degli altri, perché aveva cominciato ad utilizzare non solo la forza e il coraggio (come Achille) ma anche la METIS, il piano mentale, che rappresenta l’apporto evolutivo dell’Era dell’Ariete.

Odisseo (Odisseo, in lingua greca, è l’odiato – Ulisse in lingua latina è il segnato da una cicatrice all’anca, prodotta da una zanna di cinghiale) è il modello di chi deve andare oltre la personalità e diventare via via un aspirante spirituale, un discepolo e un Iniziato, fino a congiungersi con la sua Anima. L’Iliade precede l’Odissea, come l’espansione precede la contrazione e il sentiero della conquista esteriore quello della conquista interiore. Ulisse percorre entrambi i sentieri (presenziando sia nell’Iliade che nell’Odissea).

La guerra narrata nell’Iliade (il sentiero della conquista esteriore) si conclude al decimo anno con una distruzione della città: il numero Dieci (9+1 = 10) rappresenta il ciclo (Nove) e il ritorno al centro (Uno), quindi segna l’inizio di un nuovo periodo. Anche il ritorno di Odisseo dura 10 anni, prima sotto l’influenza del Signore della Conoscenza Hermes, e poi di donne che personificano la Sapienza Divina, Circe e Calipso.

L’Odissea è il viaggio nel mondo dell’introspezione e della purificazione (il sentiero della conquista interiore), dove ad ogni tappa si prende possesso di una nuova parte di sé, per una completa Psicosintesi personale e transpersonale.

Ulisse è quindi un Eroe “Solare” e il suo ciclo è quello del sole, che impiega 19 anni per ricongiungersi con la Luna. L’incontro Sole-Luna nuova avrebbe coinciso con il Solstizio d’Inverno, considerato come il Polo Nord nel ciclo annuale. Al ciclo di 19 anni si deve aggiungere 1 anno, il ritorno al centro, per completare il ciclo del 10 + 10.

Il viaggio di Ulisse rispecchia quello del Sole attraverso i 360 gradi del cerchio celeste e attraverso i 12 segni in cui l’Eroe deve superare altrettante prove.

Le 12 Prove

Attraverseremo – per motivi di spazio e di tempo – a “volo d’uccello” le 12 porte, soffermandoci in particolare su quelle che hanno maggiore rilevanza simbolica.

Isola dei Ciclopi

Dirigendo la prua ad Occidente e superate senza gravi danni le esperienze nel Paese dei Ciconi e nel paese dei Lotofagi, Ulisse approda all’isola dei Ciclopi. Omero descrive questo popolo di giganti monoculari come dedito alla vita pastorale, selvaggio e sprezzante di ogni legge. Uno di questi, Polifemo, rappresenta l’aspetto più primitivo dell’uomo ed è la proiezione della parte primordiale di Ulisse. Il gigante-bambino possiede un solo occhio e vede unilateralmente gli altri, obbedendo ad un principio di piacere che crudelmente lo spinge ad ingoiare tutto ciò che è vivo e diverso. Il suo pasto cannibalico non accetta mediazione e differimenti alla pulsione orale, proprio come l’uomo che, rimasto fissato ad un livello di sviluppo infantile, non accetta rinvii alla propria fame di affetto e manifesta la sua aggressività incorporando tutto e tutti. Nel confronto con la propria parte arcaica, Ulisse ricorre alla mente. In modo straordinario usa la METIS, sacrificando alla bocca del ciclope alcune sue parti, i sei compagni, e resistendo alla prima risposta reattiva di ucciderlo. Quindi, annebbia la mente rudimentale di Polifemo con il vino, metafora della parola che rende ubriachi, per poi accecarlo e sfuggire alla morte. Il suo capolavoro, però, resta il nome che si attribuisce, quando l’altro glielo chiede: “Il mio nome Ciclope, vuoi? L’avrai… Nessuno è il mio nome: me, il padre e la madre chiaman Nessuno, e tutti gli altri amici”. Nella risposta c’è un insegnamento psicosintetico esemplare. L’Io-Ulisse non rivela la vera identità al lato diffluente e distruttivo della personalità Polifemo, bensì la nasconde e la manovra dietro le quinte della disidentificazione, in modo indiretto. L’occultamento iniziale del nostro Io è una fase preliminare e necessaria nella nostra psicosintesi personale, in quanto il sé personale può essere disconosciuto ed osteggiato dalla spinta autoaffermativa delle subpersonalità. Solo quando l’alleanza tra le varie parti della personalità trasformata si va consolidando, l’Io può esercitare la sua sovranità in modo manifesto. Infatti, Ulisse non uccide il Ciclope, ma lo priva della vista, sostituendola con la propria, dirigendo ed utilizzando intatto il potere energetico delle pulsioni primarie.

Isola di Eéa

L’avventura continua, attraverso altre peripezie, nella favolosa Reggia di Eolo e nel Paese dei Lestrigoni antropofagi e vede Ulisse raggiungere con la nave superstite l’isola di Eéa, dimora della maga Circe – “Circe cantava con una dolce voce melodiosa mentre tesseva una grande e immortale tela fine fatta di grazia e di splendore”. Circe è la forma femminile di KYRKOS, il falco, simbolo di Horus. Fra tutte le donne dell’epica omerica, Circe è certamente la più significativa per quel che riguarda l’ambiguità, il mistero e la potenza del femminile. La sua immagine si stacca da tutte le altre ed è considerata la femmina fatale per antonomasia. Il fascino di Circe differisce da quello domestico di Penelope, quello devozionale di Calipso e quello acerbo di Nausicaa. Circe possiede una natura contraddittoria ed un temperamento mutevole, può essere carnefice e vittima, falsa e leale, intimidatoria e accogliente. Appare come una predatrice che seduce ed annienta i suoi amanti trasformandoli, con un erotismo senza freni, in schiavi inebetiti, in porci grufolanti. Ma quando incontra Ulisse, che riesce a soggiogare e a dominare i suoi sensi, Circe depone le armi e diviene una donna fragile e passionale. Questo incontro con Circe dura 12 mesi e percorre l’arco delle stagioni di un rapporto che si conclude con l’integrazione sul piano biopsichico. Lisola di Eéa è una tappa fondamentale nello sviluppo psicologico di Ulisse; la totale immersione nel femminile consente il dispiegamento dell’energia dell’eros che, soltanto quando è completamente vissuta, acquista una potenziale direzionailtà e arriva a far parte delle dotazioni dell’Io. Senza dimenticare i preziosi insegnamenti ed indicazioni operative che Circe fornirà per affrontare le successive prove: il paese dei Cimmeri e l’isola delle Sirene.

Paese dei Cimmeri

Lasciata l’isola della “Diva terribile” giungiamo al paese dei Cimmeri, all’estremo Occidente. Qui inizia la grande poesia dell’oltretomba che ha ispirato altri autori ed anche se questo inferno omerico è privo dell’epicità virgiliana e della terribilità dantesca, accoglie in sé in un’atmosfera più chiusa ed intima, l’infinita tristezza del distacco dalla vita, che è Luce, lotta e sentimento. Una folla di ombre è intorno ad una fossa insanguinata e in un’arcana comunione, Ulisse beve il sangue, poi parla e ricorda. Qui Ulisse si immerge nel regno delle tenebre mediante il sacrificio cruento di un animale; la discesa nella palude dell’inconscio inferiore, mediante la forza della sua ombra, consente ad Ulisse di incontrare il lato più oscuro di sé che, in questo caso, è il suo passato.

Quel passato saturo di malinconia e rimpianto, che sovente trattiene ai bordi della vita e rallenta il dinamismo implicito del divenire, che soltanto nel qui ed ora si concretizza ed espande.

In questa prova Ulisse si deve affrancare dal legame che lo unisce alla madre Anticlea, abbandonando definitivamente il suo ruolo di figlio, e deve rinunciare al modello di identificazione del condottiero durante l’incontro con lo stuolo dei Duci Achei, ormai inconsistenti e pieni di nostalgia. Si tratta, quindi, di una discesa “notturna” che libera dal conosciuto e prelude alla rinascita solare nel centro della coscienza.

… la seconda parte del “Ritorno” ci attende nel prossimo futuro… a presto

Articolo di Pasquale Morla