La storia di Eros e Psiche, (che in lingua greca significa farfalla) tramandataci nell’Asino d’Oro di Apuleio (124 d.c.), ci è pervenuta in forma di favola.

Il fascino del racconto di Apuleio sta nel fatto che esso, oltre ad una ricchezza di tratti e nessi mitologici, rappresenta uno sviluppo al centro del quale si situa l’affrancamento dell’individuo dal mondo mitico primordiale e la liberazione della psiche.

La concezione secondo la quale l’anima umana non soltanto è purificata, ma impone attivamente la medesima purificazione all’amante Eros, raggiunge la sua forma compiuta nel mito di Psiche. Non è soltanto Psiche a percorrere un cammino di trasformazione; il suo destino è indissolubilmente intrecciato a quello di Eros. Ed è questo che rende il mito di Psiche anche un mito della relazione tra uomo e donna.

La nostra ricerca segue le varie parti in cui il racconto di Eros e Psiche si suddivide.

Psiche, una principessa di celestiale bellezza, viene venerata come una dea.

Gli uomini trascurano il culto di Afrodite e accorrono da lei in pellegrinaggio. Questo provoca la mortale gelosia di Afrodite, che chiede a suo figlio Eros di vendicarla e di annientare Psiche facendola innamorare del “più miserabile degli uomini”.

I genitori di Psiche, la quale, benché bella, non è amata, interrogano l’oracolo al fine di trovarle un marito e ricevono la seguente terribile risposta: “Sulla rupe di un alto monte, o re, poni la fanciulla ornata con l’abbigliamento del letto di morte. Non isperare un genero nato da stirpe mortale, ma un crudele, feroce, e viperino male che con l’ali volando sopra l’etere, tormenta e ferisce ogni cosa con la fiamma e col ferro. Per lui trema lo stesso Giove, da lui sono i numi atterriti, ne hanno orrore i fiumi e le tenebre Stige”. Gli infelici genitori obbediscono all’ordine dell’oracolo e consegnano Psiche al mostro per le nozze funebri. Da questo momento, dopo che inaspettatamente Psiche non viene uccisa bensì rapita da Zefiro, incomincia la felice esistenza con l’invisibile sposo, Eros (che può incontrare soltanto di notte nel buio più completo), che l’ha scelta per moglie.

Segue l’irruzione delle sorelle invidiose nell’idillio di Eros e Psiche. Nonostante l’ammonimento di Eros, Psiche presta ascolto alle sorelle e decide di sorprendere di notte il mostro – così le sorelle le hanno descritto il marito – e di ucciderlo.

Al centro della parte successiva si situa l’azione di Psiche che, contravvenendo al divieto di guardare l’amante, riconosce alla luce della lampada la divinità di Eros, ma con ciò contemporaneamente, destatolo all’improvviso e feritolo con una goccia d’olio bollente, lo perde, come egli ammonendola le aveva predetto. Nei capitoli successivi assistiamo alla ricerca dell’amato perduto, al contrasto tra Psiche e la collera di Afrodite e all’adempimento dei compiti imposti dalla dea. Alla fine Psiche è sconfitta: apre il vasetto di Persefone e cade in un sonno simile a morte.
Lo sfondo del racconto è costituito dal conflitto tra Psiche e Afrodite.

Le quattro prove

Al centro del piano di Afrodite per distruggere Psiche ci sono quattro imprese da portare a termine.

Il primo compito è separare e disporre per ordine un grande mucchio di orzo, miglio, papaveri, piselli, lenticchie e fagioli. La cinica frase con cui Afrodite assegna questo compito a Psiche – “tu mi sembri una serva tanto brutta che in nessun modo potrai meritare che qualcuno ti tenga se non per la diligenza del servizio. Perciò proverò io la tua capacità” – è degna di una pescivendola e, da un punto di vista umano, suona di una rozzezza e di una meschinità difficilmente superabili. Questo mucchio di semi è in primo luogo il simbolo di una uroborica mescolanza dell’elemento maschile, cioè di una promiscuità tipica dello stadio palustre primordiale. Chi viene ad aiutare Psiche sono le formiche, il popolo dei Mirmidoni, le “alunne celeri della terra madre di tutto”. Qui gli animali soccorrevoli sono simboli del mondo istintivo legato al sistema neurovegetativo e al principio ordinativo dei semi della terra. In questa prova opera già in Psiche un terrestre e inconscio principio spirituale che lavora al suo servizio e la predispone a mettere ordine nella materia informe. Questo significa che l’evoluzione di Psiche non procede in contrasto con l’inconscio e con l’istinto, o le “potenze telluriche” bensì in accordo con la coscienza, la luce e l’individuazione.

La seconda e ancora più strana impresa che Afrodite esige da Psiche, consiste nel portarle un fiocco di lana di quelle “pecore bellissime che hanno lana d’oro fiammante”. Qui è il sussurro di una canna a suggerirle la soluzione. Psiche viene messa in guardia dall’avvicinarsi a queste terribili pecore o meglio montoni solari, “che sono spaventose belve, perché di solito si inferociscono di truce rabbia accaldate dall’ardore del sole, e con aguzze corna e fronti dure come sassi talora si avventano sui mortali con morsi avvelenati e li rovinano”. Afrodite porta la femminile Psiche a vittima di questo principio distruttivo maschile, di questo sole divorante i cui raggi – capelli sono la lana del montone solare. Psiche non si sente all’altezza del conflitto con il mondo archetipico, con la natura degli dei, e sembra sulle prime costretta a rinunciare. Ma l’aiuta la canna, il capello della terra collegato alla profondità dell’acqua, all’elemento opposto del fuoco – montone, e dall’acqua la canna riceve la sua forza elastica e flessibile. Con la sua saggezza vegetativa e naturale questa canna le sussurra: “aspetta, sii paziente. Le cose mutano. Arriva la sera e poi la notte, quando il sole rincasa, quando il principio maschile si avvicina al femminile e Helios va verso il cuore della sacra tenebrosa notte, verso la madre, la sposa legittima e gli amati figlioli”. Quindi adesso, è possibile prendere senza pericolo i crini – raggi d’oro dei montoni solari. Anche qui, la soluzione del problema non consiste in una lotta, bensì nell’instaurarsi di un contatto fecondo tra maschile e femminile, ossia una relazione d’amore.

Nel terzo compito Afrodite chiede a Psiche di riempire un recipiente di cristallo con l’acqua della fonte che alimenta lo Stige e il Cocito, i fiumi del mondo infero. La soluzione di questo compito sembra assolutamente impossibile. La più alta cima dell’immensa montagna, da cui scaturisce la sorgente, già di per sé inaccessibile a Psiche, le sbarra inoltre la strada con serpenti eternamente svegli, e l’acqua stessa della sorgente l’ammonisce mormorando: “Fuggi!” e “Morrai!”. Compare però come deus ex machina l’aquila di Zeus che viene a salvare Psiche. Questa impresa è una variante del motivo della ricerca dell’acqua della vita, la preziosa sostanza difficilmente conquistabile. La caratteristica essenziale di questa sorgente è che essa unisce ciò che sta più in alto e ciò che sta più in basso; è un fiume circolare uroborico (l’energia vitale) che alimenta le profondità del mondo infero per poi risalendo, sgorgare dall’altissima cima dell’enorme montagna. In questo terzo compito il principio spirituale che interviene in suo aiuto è un’aquila che, come spirito maschile, permette a Psiche di raccogliere qualcosa dell’impetuoso fiume della vita e di dargli una forma. Nell’aquila che tiene il recipiente è rappresentata nel modo più profondo la spiritualità già maschile-femminile di Psiche, la quale in un atto solo “riceve” come una donna, cioè in quanto recipiente accoglie e concepisce, e nello stesso tempo afferra e comprende come un uomo senza venire annientata dalla potenza schiacciante del numinoso.

Ed eccoci alla quarta prova. Nelle favole e nei miti le prove sono quasi sempre tre; nel caso di Psiche invece se ne aggiunge significativamente una quarta, e quattro è il simbolo della totalità. Mentre i primi tre compiti come abbiamo visto, erano stati portati a termine da “soccorritori” di Psiche, cioè dalle forze interne del suo inconscio, in questo ultimo compito Psiche deve sbrigarsela da sola. Fino questo momento i suoi soccorritori appartenevano al mondo vegetale e al mondo animale; questa volta è aiutata dalla Torre, simbolo della cultura umana. In occasione dei primi tre compiti Psiche ha avuto a che fare con il principio maschile. Nella quarta ed ultima prova essa direttamente in conflitto con il principio femminile fondamentale, con Afrodite–Persefone, e dalle vette precedenti si immerge nella profondità più abissale del regno degli Inferi dove la “sostanza preziosa” è custodita da Persefone stessa e va consegnata ad Afrodite. Questa torre mostra a Psiche come, in quanto essere singolo, femminile e umano, possa avere ragione della mortale alleanza delle dee – che come Afrodite e Demetra governano la sfera divina superiore, mentre come Persefone governano quella divina inferiore. In questo viaggio estremo Psiche è per la prima volta da sola. Nessun animale la può aiutare, niente e nessuno può sostituirsi a lei in questo viaggio.

Tutta sola Psiche percorre questo sentiero eroico di rinascita per amore di Eros, armata dall’istruzione della torre e con la disperata ostinazione di ritrovare, a dispetto di tutte le difficoltà, il suo amato.

Il tentativo di Afrodite di annientare Psiche raggiunge il culmine nella quarta prova. Per prima cosa dobbiamo comprendere il significato del vasetto di unguento di bellezza che è proprietà di Persefone; quando Psiche apre il vasetto, cade in un sonno mortale. L’unguento di bellezza rappresenta l’eterna giovinezza della morte. (questo ci è noto dalle favole della Bella Addormentata e di Biancaneve, e anche là è provocato dalla Madre Cattiva o dalla Vecchia Strega).

Cadendo preda di un sonno mortale Psiche ritorna così da Persefone, come Euridice dopo che Orfeo si era voltato. Sarebbe la vittoria della Grande Madre che adesso si mostra nella veste di madre di morte. Ma il tentativo di Afrodite di far regredire Psiche nello stadio mortifero matriarcale risulta vano. Psiche infatti è gravida e il suo essere ingravidata da Eros è il simbolo del suo profondo legame individuale con lui. Appare evidente che l’indipendenza di Psiche incomincia nel periodo della sua gravidanza che la spinge verso la relazione individuale con Eros, verso l’amore e la consapevolezza. E questo fallimento di Psiche, vero paradosso femminile, spinge lo stesso Eros ad entrare in azione, trasforma il fanciullo in uomo e l’amante bruciato e fuggitivo in salvatore. Secondo la nascosta simmetria di questo mito, Psiche ristabilisce con il suo fallimento ciò che aveva distrutto facendo fuggire Eros. Mentre allora, spinta da qualcosa che le sembrava ovvio, fece luce correndo il pericolo di perdere Eros, adesso, spinta da un motivo che le sembra chiamarsi amore, è pronta a “far buio” per conquistare Eros. Attraverso il sacrificio mortale di Psiche, l’amante divino si trasforma da fanciullo ferito in uomo e salvatore, perché in Psiche trova qualcosa che esiste solo nella sfera intermedia dell’elemento terrestre ed umano, posta tra cielo e mondo infero: il mistero femminile della rinascita attraverso l’amore.

Conclusione

Partendo di qui possiamo comprendere anche l’alleanza tra Zeus ed Eros che provoca l’assunzione in cielo di Psiche. La suprema istanza maschile si piega di fronte all’umano ed al femminile, che ha dimostrato al divino la propria uguale dignità attraverso la propria superiorità nell’amore. A questo punto Psiche è accolta nell’Olimpo, ivi condotta da Hermes, divinizzata e unita per sempre ad Eros. Dal punto di vista femminile questo significa che la capacità di amare dell’anima è divina e che la trasformazione attraverso l’amore è un mistero che divinizza.

Questo amore di Psiche per il suo amante divino è un caposaldo della mistica d’amore di ogni tempo, e il fallimento di Psiche, il suo autoabbandono finale e il dio che proprio allora sopraggiunge per salvarla, tutto questo corrisponde alla fase culminante dell’estasi mistica in cui l’anima si affida alla divinità. Per questo motivo è detto che “…noi chiamiamo Voluttà” la figlia messa al mondo da Psiche. Ma nel linguaggio celeste, ed è una creatura celeste quella che la divinizzata Psiche partorisce in cielo, questa figlia è la gioia mistica universalmente descritta come il frutto della più alta unione mistica: “Certamente gioia, e tuttavia al di là del piacere”. È una delle profonde ed emozionanti intuizioni del mito di Psiche che la sua fine coincida con la nascita di questa figlia, Voluttà-Gioia-Beatitudine.

Abbiamo sottolineato che la favola di Eros e Psiche racchiude un mito, un evento archetipico perfetto e in sé compiuto. Proprio perché si tratta di un evento archetipico, il suo significato deve essere interpretato in senso universamente umano e non in senso personalistico, dunque non come qualcosa che accade in una donna qualunque o in uomo qualunque, bensì come “un avvenimento esemplare”.

Ecco gli archetipi che caratterizzano questo mito: la prima notte di nozze, esistenza nel paradiso dell’inconscio, lotta con il drago, calvario delle prove, viaggio negli inferi e conquista della preziosa sostanza, fallimento come seconda morte, redenzione, Hieros-gamos, resurrezione, rinascita sotto forma divina e nascita del figlio.

Tutti questi motivi rappresentano l’intero canone di archetipi, che non ricorre solo nei miti, nelle favole e nei misteri ma è presente anche in sistemi religiosi, come per esempio la Gnosi.

Di Pasquale Morla