… sentire dentro di sé il fermento di nuove idee e visioni, e non riuscire ancora a trovare un modo per portare tutto ciò nel mondo. Non sono solo le parole che mancano, ma anche gli atti e i molti modi possibili della manifestazione.

 

La prima parola che viene da associare alla primavera è risveglio; termine che esprime bene il ricorrente evento della primavera con tutto ciò che esso porta con sé. La parola “risveglio” è usata altrettanto frequentemente, in senso figurato, anche per l’anima che si apre a una più piena manifestazione di sé.

Ma c’è un’altra parola che si addice bene sia alla primavera che all’anima, ed è “espressione”: a primavera la natura si esprime in tutto il suo splendore, così come l’anima in risveglio cerca e chiede espressione.

I semi che germogliano e che poi si manifestano a primavera in mille colori e profumi, sono rimasti silenti e nascosti per mesi, latenti nelle pieghe oscure della terra.

Lo stesso accade a noi, esseri umani: i nostri semi, quelli veri e profondi, che racchiudono la nostra essenza, restano a lungo silenti nelle pieghe della coscienza, mentre andiamo addestrando i nostri strumenti di espressione sulla falsariga predisposta da altri autori: un lungo allenamento, che, inevitabilmente, tendiamo a confondere con la vera auto – realizzazione.

A differenza di ciò che avviene in natura, il processo che conduce all’espressione di sé non segue delle fasi che si snodano spontaneamente una dietro l’altra. Anzi, molto spesso subentrano ostacoli e interferenze che impediscono il fluire di ciò che abbiamo maturato dentro verso la sua espressione esterna; a volte tali ostacoli assumono la dimensione di veri e propri blocchi.

E’ quando siamo inappagati dalle varie manifestazioni che riempiono la nostra vita, che avvertiamo l’esigenza di trovare il modo di esprimere ciò che in noi è più vero e che meglio rispecchia ciò che siamo.

D’altra parte è anche vero il contrario: che talvolta sentiamo dapprima una pressione interna ad aprire nuove vie di espressione, ed è proprio la tensione che ne deriva che ci fa percepire come insoddisfacente e pesante ciò che stiamo facendo.

In entrambi i casi, ascoltare ed accettare le spinte interiori dell’insoddisfazione e della pressione – anche se possono essere scomode –  è l’unico modo per tenere vivo il processo creativo dentro di noi. Soprattutto, ricordarci che è la voce dell’anima che chiede espressione.

Nella ricerca delle nuove vie incontriamo inevitabilmente delle sfide: innanzitutto quei nuovi germi di pensiero sono ancora esili, come dei piccoli fiori che spuntano qua e là in un giardino già ben coltivato e ricco di piante cresciute e possenti, cioè tutto ciò che già conosciamo e che ripetutamente abbiamo agito.

Poi, non abbiamo ancora un linguaggio idoneo per ciò che è nuovo: più questo corrisponde a delle spinte autentiche della nostra anima, e meno i linguaggi conosciuti sono adatti.

C’è poi l’effetto inibitore dell’ambiente, che in genere può raccogliere da noi solo quello che già conosce e con cui si è precedentemente sintonizzato: che è come dire che il ricevente condiziona chi vuole emettere un nuovo messaggio, e lo fa per lo più legandosi a ciò che della persona ha già conosciuto.

Subentra allora quella fase che mi piace definire come “l’anima muta”, perché spesso genera un penoso vissuto in chi la sperimenta: cioè sentire dentro di sé il fermento di nuove idee e visioni, e non riuscire ancora a trovare un modo per portare tutto ciò nel mondo. Non sono solo le parole che mancano, ma anche gli atti e i molti modi possibili della manifestazione.

Ovviamente sull’intensità e sulla lunghezza di questo stato interiore, influisce anche il carattere della persona: se è tendenzialmente introverso, l’”anima muta” perdura più a lungo, se è estroverso il processo può essere più rapido, ma ugualmente non privo di inceppamenti.

Infatti non si tratta di “manifestare qualcosa” e di esistere attraverso di esso, tutt’altro! Questo è ciò che noi esseri umani facciamo quasi sempre: farci prendere dalla smania di esistere in mezzo agli altri e di dare voce a qualunque pensiero o stato d’animo che ci attraversi, per il bisogno di comunicare col mondo. I moderni mezzi di comunicazione, tanto rapidi quanto superficiali, ci favoriscono in questo “buttare fuori” i nostri stati interni. Ma, altrettanto, rappresentano un tranello che ci impedisce di andare più in profondità e di estrarre da dentro di noi ciò che veramente fa parte della nostra essenza e che chiede la sua legittima espressione.

Forse nessun aspetto della vita umana è soggetto ad automatismi quanto la comunicazione, che risente di condizionamenti sia individuali che sociali. E questo è una sfida per l’anima, che ha bisogno di esprimersi ma che ha necessità di un linguaggio e di modalità sintoniche con la sua vibrazione raffinata. D’altra parte, sentire l’anima che freme nella profondità della coscienza e non darle voce, a lungo andare diventa opprimente. Così come è fuorviante credere che basti coltivare il contatto interno: siamo anime incarnate nel mondo della forma e, come tali, abbiamo bisogno di manifestarci.

Anzi, il mondo delle forme ci è dato alla stregua di un giardino in cui piantare e coltivare i nostri semi, la nostra quintessenza, proprio perché vi possano fiorire e mostrarsi alla luce del sole.

Ma prima che questo possa avvenire, un lungo tempo è necessario: per riconoscerli, per collocarli nel giusto posto al giusto momento e per imparare a coltivarli. Un tempo che prevede anche momenti di scontentezza e di senso di incapacità di emettere la nostra voce. Quell’”anima muta” va innanzitutto riconosciuta: dobbiamo cioè verificare se dietro o sotto un senso di disagio e di insoddisfazione c’è una anima che spinge per esprimersi, ma non trova spazio nella nostra vita affaccendata. E va considerata ed ascoltata, anche se non ha ancora trovato le parole giuste. Va aperto con lei un dialogo, perché lei sa di cosa ha bisogno. Allora piano piano, la voce dell’anima diventa più forte del frastuono dell’ambiente, e impara a coprire le tante voci interne che reclamano la soddisfazione dei loro bisogni.

Mentre costruiamo le forme della nostra vita individuale e di gruppo, lasciamo un piccolo spazio libero per la voce interiore, che ci indica come passare dall’anima muta all’anima completamente espressa.

E’ tempo di primavera, è tempo di nuovi fiori nel nostro giardino interiore ed esteriore!

 

Marina Bernardi
Presidente della Comunità di Etica Vivente