Il significato del lavoro va ben oltre l’apprezzamento della gente: è l’impegno occulto di ogni uomo nel proprio processo di autorealizzazione.

 

Era un’estate particolarmente laboriosa per la comunità: le attività si intensificavano e si diversificavano in molti settori, richiedendo totale disponibilità e massimo impegno da parte dei collaboratori che si dedicavano alla conduzione della casa e del podere.

Una sera, quasi per caso, il gruppo era riunito sotto il pergolato per godere un po’ di fresco quando, silenzioso e inaspettato, si presentò Hermes: Desideravo vedervi ma, sapendovi molto presi dal lavoro, ho preferito incontrarvi durante questi momenti di riposo.

Gli amici gli fecero festa e lo accolsero tra loro proponendogli di riflettere insieme proprio sul tema del lavoro, che tanto li stava coinvolgendo in quei giorni.

Aiutaci a comprendere meglio il senso di questa nostra fatica quotidiana – disse Marta – perché non è sempre facile superare la frustrazione di un lavoro che passa inosservato e spesso non viene apprezzato…

Hermes rispose pacatamente: Il significato del lavoro va ben oltre l’apprezzamento della gente: è l’impegno occulto di ogni uomo nel proprio processo di autorealizzazione. Lavorare, infatti, è l’arte di apprendere a usare l’energia della vita, ai vari livelli, per imparare a migliorarne la qualità. In termini esistenziali non è concepibile la vita senza lavoro, perché solo questa forza attiva permette la trasformazione della realtà fenomenica nella grande avventura creativa in cui tutti siamo coinvolti. Affrontare questo tema in una prospettiva soltanto sociologica è estremamente riduttivo, in quanto non consente di cogliere quello che c’è di essenziale in questo valore fondamentale per l’umanità.

Cesare, assentendo, intervenne: Penso che da sempre l’uomo, perseguitato dalla maledizione biblica (dopo la cacciata dal paradiso terrestre), abbia subito il lavoro come una necessità essenzialmente legata agli istinti primari di autoconservazione e di autoaffermazione. E questa suggestione negativa è tutt’ora presente nell’inconscio collettivo, quasi fosse un debito penoso da cui ci si deve affrancare, sopportando le fatiche e le difficoltà di un’esistenza spesso in contrasto con i propri bisogni e desideri.

È vero – confermò Hermes – ma arriva un momento in cui la consapevolezza si fa strada nella nostra coscienza e ci consente di cogliere l’aspetto più significativo, anche se meno evidente, di questo problema. Basta analizzare il procedimento con cui si compie un lavoro, per comprendere come in questo atto noi riusciamo a collegare il livello mentale con quello fisico, permettendo alla nostra psiche di imprimere sul cervello i propri comandi, capaci a loro volta di influenzare il nostro corpo, rendendolo così un docile strumento della nostra volontà. Questo mirabile collegamento psicofisico tende a migliorare attraverso l’esperienza, fino a farci divenire, nei vari campi, perfetti esecutori di quel grande piano di rinnovamento che è l’evoluzione.

Giulietta intervenne: Se capisco bene, tu dai al lavoro anche un significato interiore, a cosa ti riferisci?

Hermes: Semplicemente a quello che facciamo in ogni momento della vita coniugando, consapevolmente o meno, le diverse pulsioni della nostra coscienza in un policromo disegno di vissuti, i più vari, che diverranno in seguito il nostro destino.

Vivere è il nostro lavoro quotidiano, il quale comporta l’impegno a percorrere contemporaneamente due sentieri paralleli, uno nella nostra coscienza e l’altro nel mondo, utilizzando al meglio l’energia e il tempo che abbiamo a disposizione.

Cesare: Perché non definire alcuni essenziali requisiti del lavoro in una comunità psicosintetica?

Hermes: Il primo requisito è che il lavoro deve essere scelto liberamente tra quelli di interesse e di utilità comuni. Ciò significa che, di norma, ciascuno può dedicarsi all’attività verso cui si sente più portato, anche se questo non esclude che si possano presentare momenti di bisogno in cui ciascuno dev’essere disponibile a svolgere mansioni diverse dalla propria, per agevolare il compito di tutti. I ruoli fissi e la mancanza di flessibilità sono caratteristici della “vecchia Era” e ostacolano lo sviluppo di quella nuova coscienza detta “nuova Era”.

Marta, piuttosto animata, intervenne: Hai parlato di “momenti di bisogno”… Che cosa intendevi?

Tutti coloro che aspirano alla vita spirituale debbono rispettare quello che può essere definito il “principio di necessità”, che in termini molto semplici significa aver cura, in modo prioritario, del bene comune, con spirito di sacrificio e azioni disinteressate, anche quando queste possono arrecare perdite o disagi alla nostra personalità. Significa accettare disciplinatamente e serenamente qualsiasi decisione il gruppo ritenga utile per migliorare la situazione contingente, sviluppando così in noi un autentico senso della collettività.

Lo stesso principio comporta anche di saper rinunciare, talvolta, al proprio “punto di vista” e alle proprie “ragioni”; saper sacrificare l’identità personale per acquisire quella di gruppo e diventare così “servitori del mondo”, pronti a correre dove c’è bisogno, dimentichi di noi stessi e dei nostri piccoli interessi. Si tratta di imparare a obbedire a una coscienza più grande della nostra dopo aver sacrificato sull’ara del futuro l’identità passata.

Capisco – proseguì Hermes – che questo è un discorso difficile, specialmente per chi ha un’alta opinione di sé, ma l’impersonalità, l’autodisciplina e l’obbedienza sono tre qualità indispensabili “sul sentiero” ed è bene cimentarsi subito con queste prove.

Camillo, interessato, precisò: Penso che altri requisiti fondamentali del lavoro siano l’ordine e il ritmo perché, senza di essi, il lavoro non ottiene gli effetti desiderati.

Rispose Hermes: Certo, aggiungerei, infatti, che l’ordine e il ritmo sono elementi determinanti del lavoro, in quanto permettono la migliore utilizzazione delle energie, sia a livello fisico che psichico: essi consentono all’uomo la massima efficienza, secondo la legge di economia che regola il nostro pianeta. Basta pensare ai gravi disturbi arrecati al nostro corpo quando gli organi vanno fuori ritmo (ad esempio nel caso del sistema cardiocircolatorio o di quello neuro-endocrino), o a tutti i danni prodotti sulla terra dai disordini e dalle disritmie naturali (terremoti, alluvioni ecc.) per comprendere l’importanza assoluta che il ritmo, e quindi l’ordine, hanno in tutti i processi vitali, costituendo l’equilibrio sottostante qualsiasi processo creativo.

Guglielmo, fino allora silenzioso, prese la parola: Vorrei approfondire, a livello concettuale, il significato del lavoro…

Hermes: Il senso dell’esistenza è il lavoro infinito, incessante, illimitato: scoprire questa verità significa capire e accettare il significato più profondo del nostro divenire. Inizialmente sono gli altri a insegnarci il significato del lavoro, poi è la mente che ne intuisce il valore occulto e ne fa una regola di vita; questa comprensione ci impegna a migliorare sempre il “prodotto” perché realizziamo che il nostro compito è quello di sviluppare continuamente la creatività, evocando tutte le potenzialità della nostra natura divina.

Leonardo: Credo che il lavoro sia da valutare anche dal punto di vista etico, dal momento che molti lo usano come mezzo di sfruttamento e arricchimento personale.

Disse Hermes: È indispensabile che il lavoro sia sempre indirizzato al bene, cioè produca qualcosa di utile, e quanto più ampia sarà l’umanità che ne beneficerà, tanto maggiore sarà il suo valore. Concepire il lavoro solo in funzione dei vantaggi personali è estremamente limitato e indegno di un aspirante spirituale: il motto della nuova era, infatti, è “massimo beneficio per il maggior numero di uomini”.

Guglielmo: Quali consigli puoi darci per migliorare il rendimento nel lavoro?

Prima di tutto, liberarsi da qualsiasi timore di insuccesso Perché la sola formulazione di questo pensiero è già un impedimento; quindi, lavorare sempre con uno stato d’animo utile, animato da sentimenti positivi quali ad esempio la calma e la buona volontà, evitando l’attivismo sfrenato e l’irritazione. Occorre sempre tenere presente che stiamo utilizzando energie vitali del cui uso siamo responsabili.

Un’altra regola da rispettare è quella di mantenere sempre focalizzato il nostro impegno sull’obiettivo che vogliamo raggiungere, evitando così dispersioni di energia e scarso rendimento.

Marta intervenne: É difficile restare concentrati quando il lavoro diviene ripetitivo e comporta fatica fisica…

Rispose: Il lavoro può essere prevalentemente mentale o manuale, e la scelta dipende dalle attitudini individuali e dalle necessità del momento, anche se in via di principio è auspicabile che ciascuno impari a utilizzare entrambe le modalità. Occorre tener presente, tuttavia, che qualsiasi attività parte dal pensiero e non è perciò determinante se il lavoro si svolge più sul piano fisico o su quello intellettuale, dato che il fattore essenziale è il significato che vi attribuiamo. In quanto alla fatica, sia fisica che psichica, è bene evitarla in ogni caso perché essa è legata ad un errato uso del tempo e delle energie, cioè alla mancanza di ritmo. In effetti, il lavoro dovrebbe essere svolto “in letizia”, come suggerito dai mistici, per evitare che abbrutisca l’uomo anziché elevarlo.

Sono da evitare anche l’ansia del risultato e l’attesa della ricompensa, dato che questi stati d’animo finiscono per influire negativamente sul rendimento e, di conseguenza, sui risultati.

Durante le attività è bene non pensare al riposo ed eliminare qualsiasi forma di autocompatimento, al fine di non devitalizzare la nostra energia. Il riposo è certamente necessario Perché è la pausa indispensabile per recuperare le forze, e va previsto e dosato con equilibrio; qualsiasi scoramento, d’altra parte, va superato con un intervento combinato della mente e del cuore, rafforzando generosamente l’ardore e la decisione della nostra scelta.

Un detto, apparentemente paradossale, che ben sintetizza i due aspetti dell’agire e del sentire è “rapidità calma”, cioè consapevolezza del ritmo che, in definitiva, è la percezione del perenne fluire della vita.

Maria: Mi sembra di capire che, nel lavoro, la coscienza dell’uomo si espande oltre i ristretti confini della personalità…

Certamente – riprese Hermes – quando il pensiero diventa azione, lo spirito esprime la propria creatività, che gli consente di superare i limiti del mondo materiale. La saggezza orientale sostiene che, nel lavoro svolto saggiamente, l’aura di un individuo si espande e il suo cuore si fa più luminoso, unendosi a quello dei suoi collaboratori; in una visione spirituale, chi accetta l’idea di un lavoro illimitato per il bene comune, incontra prima il suo “maestro interiore”. È intuibile che la mano del Creatore sia sempre in movimento e tutto l’universo non sia che il frutto del suo lavoro incessante.

Marta: Torniamo a problemi più concreti…: che ne pensi del lavoro nelle fabbriche e nelle miniere?

Penso che l’umanità non abbia ancora terminato di affrontare l’esperienza del sacrificio, e che ogni tempo ha le sue prove. Ma, come è stato detto, il sacrificio dà agli uomini nuovo potere, offrendo alla coscienza nuove possibilità. Accettare questa logica ci fa presagire che la vera conquista dell’umanità sarà quella di sostituire i macchinari con il potere dello spirito. Scopriremo così che il nostro futuro non è nelle fabbriche e nelle miniere ma nel laboratorio della coscienza.

Leonardo: Forse, in questo periodo di transizione, il requisito più importante è la creatività, assieme alla capacità di impegnarci per il bene del mondo anziché per il benessere personale.

Hermes aggiunse: Per diventare creativi bisogna lavorare con estro e flessibilità mentale, tralasciando orgoglio e vanità intellettuale, tesi al rinnovamento e costantemente impegnati ad evocare dentro di noi nuove risorse e qualità. L’ideale della “nuova Era” è che la vita diventi bella, quindi semplice, ispirata e gioiosa.

Cesare, quindi, si rivolse ad Hermes dicendogli scherzosamente: Dopo averti fatto tanto parlare di lavoro, credo sia arrivato il momento di mandarti a riposare…!

Tutti sorrisero, e si avviarono con Hermes, accompagnandolo per un tratto, finché non videro la sua sagoma scomparire nella notte luminosa, piena di stelle.

 

Sergio Bartoli
In: “Poggio del Fuoco” – Quaderno della Comunità di Psicosintesi di Città della Pieve
N. 10 – “Il Lavoro” (novembre 1992)