Verso la fine della sua vita, fu posta una domanda a Sergio Bartoli, fondatore della nostra Comunità.
Gli venne chiesto: “Qual è la cosa più importante che hai fatto nella tua vita?”
L’interlocutore si aspettava forse che rispondesse: “Ho creato la Comunità di Etica Vivente”, oppure “Ho costruito tanti Casali al servizio di un’Opera più grande”, o ancora “Ho tracciato percorsi per la crescita della coscienza”.
Ma la risposta che diede Sergio fu semplice e folgorante:
“La cosa più importante che ho fatto nella mia Vita è Comprendere.”
Queste parole meritano di essere custodite nel cuore come un sigillo, un fuoco vivente, una guida luminosa per ciascuno di noi. Perché racchiudono il cuore stesso del nostro percorso di ricercatori.
Sergio non disse “capire”. Disse “comprendere”.
Capire e comprendere non sono la stessa cosa. Viviamo in un’epoca, ricca di informazioni che favorisce enormemente il “capire”: leggiamo, ascoltiamo, studiamo, analizziamo. Ma tutto questo sapere rischia di restare in superficie, se non viene assimilato, se non scende nelle profondità della coscienza.
Capire è afferrare con la mente. Comprendere è lasciarsi trasformare.
L’etimologia ci aiuta a cogliere la differenza:
- Capire viene dal latino capĕre, “afferrare”.
- Comprendere viene da com-prehendere, “prendere insieme”, “abbracciare dentro di sé”.
Capire è un atto mentale. Comprendere è un atto esistenziale, che coinvolge mente, cuore e volontà. È l’inizio di una trasformazione interiore.
Ogni volta che afferriamo una verità, un principio, una legge spirituale, siamo chiamati a un’opera silenziosa e impegnativa: portarla a maturazione dentro di noi.
Quel contenuto deve attraversare i piani della nostra psiche: scendere dalla mente concreta, attraversare il corpo emotivo e infine radicarsi nel corpo fisico. Solo allora diventa vera comprensione. Solo allora diventa Vita.
Se ci limitiamo a capire, senza trasformare ciò che abbiamo capito in una forza attiva e vivente, rischiamo una scissura interna: un divario crescente tra ciò che sappiamo e ciò che siamo. E questa distanza, se non colmata, ci rende incoerenti, finti, disallineati. Iniziamo a ripetere a parole ciò che non abbiamo ancora incarnato. Fingiamo senza accorgercene.
Ma non trasmettiamo ciò che abbiamo studiato. Trasmettiamo ciò che abbiamo compreso. Non sono le nostre parole a parlare. È l’aura della nostra coscienza a irradiare.
Potremmo immaginare la nostra coscienza come un vasaio che lavora al tornio: capisce il progetto, ma poi lo plasma con le mani. Capire è leggere le istruzioni. Comprendere è modellare l’argilla della nostra esistenza.
Le comprensioni vere sono le mani che formano il vaso della nostra anima. E quel vaso, che diventa un calice vivente, contiene il nostro tesoro più prezioso: ciò che abbiamo compreso e trasformato in coscienza.
Un giorno, questo vaso traboccherà e donerà. Perché la comprensione è al servizio della Vita.
Ecco perché comprendere è il nostro vero compito esistenziale. È creare consapevolmente il ponte tra la mente concreta e la mente astratta, il ponte che gli Insegnamenti chiamano Antahkarana o Ponte Arcobaleno.
Costruirlo richiede tempo, silenzio, attenzione, ma ci permette di diventare arcobaleni viventi, ponti fra mondi, ambasciatori della Luce.
Allora sì, potremo servire con autenticità.
Allora sì, potremo testimoniare il mistero della Vita Una.
Allora sì, potremo dire, con la stessa forza e umiltà di Sergio:“La cosa più importante nella Vita è comprendere.”
di Marcello Spinello