La solitudine è l’unica vera amica nei momenti difficili, perché è una sorella fidata, che ci prende per mano e ci trae là dove dobbiamo andare.

 

L’inverno si avvicinava e la natura si preparava al suo lungo sonno stagionale e tutto nella Comunità lasciava presagire un periodo d’introversione, dopo le molte attività e l’affollamento estivo.
E fu in quell’autunno inoltrato che Hermes andò a trovare per l’ultima volta i vecchi amici che lo accolsero con gioia, a “cuore aperto” e trepida aspettativa: c’era infatti in lui, nel suo volto scavato e segnato dal tempo, qualcosa di diverso che lasciò intuire, a chi lo amava, che non era un’occasione come le altre, quella che s’apprestavano a vivere.
Fu solo più tardi, quando si ritrovarono la sera dopo cena, seduti come di consueto intorno al grande camino, dove ardeva un fuoco vivace e accogliente, che Hermes comunicò la ragione della sua visita.

Sono venuto ad annunciarvi che lascio definitivamente questo paese e forse la mia casa per ritirarmi in un luogo lontano e solitario, in attesa di quel passaggio che ormai sento imminente nell’altra dimensione. Ho deciso di vivere gli ultimi giorni di questa mia vita terrena in assoluta solitudine, per prepararmi meglio al nuovo compito che ormai intuisco prossimo e desidero perciò vivere con voi, che considero i più intimi amici, un’ultima esperienza di fratellanza spirituale e di amorevole condivisione, prima di dedicarmi totalmente all’incontro con la mia anima.

Queste parole anticiparono all’improvviso l’effetto dell’inverno e produssero un gelo quasi palpabile in tutto l’ambiente e nei cuori dei presenti.

Giulietta fu la prima a parlare: Questa notizia mi sconvolge e non riesco proprio a giustificare questa decisione di lasciarci nel momento più importante della tua vita, in cui solo l’amore di chi ti è vicino può aiutarti a superare Io smarrimento e la solitudine di un evento così difficile da affrontare come la morte!

Hermes le rivolse uno sguardo pieno di dolcezza e di comprensione e rispose: La solitudine è l’unica vera amica nei momenti difficili, perché è una sorella fidata, che ci prende per mano e ci trae là dove dobbiamo andare. Ci toglie infatti dalle situazioni insostenibili, in cui non si può restare e silenziosamente, in modo quasi inavvertito, ci fa fare un passo avanti verso il domani, verso il nuovo che ci aspetta.

Guglielmo: È un discorso che proprio non riesco a capire…

Hermes: È solo l’intelligenza del cuore che ci apre la porta e ci fa comprendere l’altra verità, quella che unisce il mondo dei fenomeni al mondo delle cause e ci fa intuire che, attraverso la solitudine, la nostra coscienza può spostare la propria percezione dal mondo terreno al “cielo del mondo”, cioè a quella dimensione parallela in cui chi dorme e chi muore continua a lavorare per sé e per il Pianeta. È questo che ti auguro Guglielmo, con tutto il mio amore, per non perderti come amico, quando la natura mi toglierà prossimamente il “vestito” che mi ha protetto in questi anni.

Guglielmo allora si fece coraggio e chiese: Da dove viene tutta questa sicurezza che qualcuno, certo non noi, chiamerebbe presunzione o incoscienza nel sapere quello che ci aspetta dopo la morte?

Hermes sorrise e lo rassicurò: La presunzione può essere vista da due lati: da parte di chi la sospetta è un chiaro segno di resa a non comprendere e a non sapere; da parte del protagonista, sempre che non si sbagli, è un atto temerario di conoscenza e di consapevolezza che rassicura e dissolve ogni paura e ogni dubbio. Per quanto riguarda l’incoscienza, Guglielmo carissimo, dobbiamo sempre ricordarci che esiste una coscienza della nostra personalità e una coscienza della nostra anima e per arrivare all’esperienza di quest’ultima è necessario diventare un po’ … incoscienti nell’altra, e questo tu lo sai e lo testimoni nella tua vita ispirata che disegna regole e leggi per la futura coscienza collettiva.

Marta, che non aveva celato la sua irrequietezza e il suo disagio emotivo fin dall’inizio, disse: Questi discorsi… queste metafore, queste astrazioni non mi sollevano certo dal dolore che la tua lontananza ci procurerà; ti chiedo allora: perché non pensi anche a noi?

Marta, Marta, anche se io non sono Gesù, mi ricordi un po’ il discepolo Tommaso che credeva solo in quello che poteva vedere e toccare; ma la coscienza di un uomo non si può né vedere né toccare, si può solo sentire dalle sue parole e constatarla dalle sue opere. Ti rassicuro, perciò, dicendoti che non ho nessuna intenzione di allontanarmi da voi e dal lavoro che abbiamo fatto insieme, anzi desidero che tu mi sia vicina con il tuo pensiero così limpido e forte da far obbedire e plasmare anche alle tue mani qualsiasi materiale e qualsiasi situazione della vita.
La solitudine, te lo assicuro, è una necessità in certi momenti della vita e specialmente è indispensabile nell’evento che chiamiamo morte, perché il processo segna le linee più sottili e più utili per incontrare la nostra anima. Sono convinto che queste cose tu le intuisci e ti chiedo perciò di essere soltanto un po’ più altruista: in altre parole, io riuscirò ad essere più vicino a tutti voi nella misura in cui voi riuscirete ad empatizzarmi, e quindi a comprendere i bisogni più intimi della mia coscienza, e in questo momento la solitudine per me è la dimensione che può maggiormente aiutarmi.

Leonardo sembrava agitato da emozioni che non riusciva a dissimulare e intervenne con enfasi eccessiva nel discorso: Se ho ben capito, solitudine e socialità sono gli stessi aspetti bipolari che ritroviamo nella vita e nella morte e a cui ci dobbiamo inevitabilmente adattare nel dramma senza fine della nostra esistenza.

Hermes: Certamente, sono i due aspetti di un’unica realtà: quella che ci lega alla collettività umana che noi chiamiamo società e quella che ci trasporta nel regno delle anime che chiamiamo vita dopo la morte. È appunto per entrare in quest’ultima che la solitudine, in quanto distacco da ciò che dobbiamo lasciare, appare la qualità più desiderata e più importante, la sola che permette alla nostra coscienza di focalizzarsi, lontana dai clamori e dalle richieste del mondo, alla nuova realtà fenomenica che, per chi muore, è tutta da scoprire. Occorrono coraggio, pazienza e, specialmente, conoscenza per riorientarsi in un mondo, per molti versi sconosciuto, perché abbandonato da decine di anni, tutti quelli che la vita terrena ci ha richiesto come attenzione, come impegno, come ricerca di conoscenza, prima, e di espressione, poi. “Beata solitudo” era il motto che ricordava in ogni eremo, a chi aspirava ad entrare in se stesso, il sentiero da percorrere. In questo senso la solitudine non va intesa come isolamento o negazione del valore della relazione umana, ma, anzi, l’esaltazione di nuovi incontri, di nuovi contatti, di nuove relazioni, appunto quelle tra anime. Chi comprende questo non può non vedere nella solitudine la meta agognata di ogni coscienza che cerca la luce, e questa sorprendente scoperta ci rivela all’improvviso il senso o il culto di quei grandi uomini che nei deserti, nelle grotte o rintanati nella loro coscienza all’interno delle metropoli, hanno cercato riparo ai richiami e alle grida incessanti di chi non comprende.
Solo chi è entrato in contatto con la luce può, in qualche modo, portare luce a chi non vede, ma quello stretto sentiero, che conduce verso il chiarore profondo del nostro io, altro non è che la solitudine.
Questo è stato da sempre intuito dall’antica tradizione, se ricordiamo che, tra le prove iniziatiche, quella della solitudine era ritenuta fondamentale: solo chi fosse riuscito a sperimentare il sapore segreto di quest’esperienza avrebbe incontrato nell’iniziazione la dolcezza della propria anima e l’incontro luminoso con i fratelli spirituali.

Maria, non vista nella penombra della sala, piangeva sommessamente e, quando il chiarore del camino si fece più brillante, Hermes vide delle lacrime silenziose scorrere sul volto della cara amica e l’apostrofò: Maria, perché piangi? Non ricordi che ogni distacco prepara un nuovo incontro, ed è a questa prospettiva che dobbiamo aprirci con gioia!

Maria scoppiò allora in un pianto dirotto, creando un certo imbarazzo in tutto il gruppo. Era in qualche modo la creatura più devota e più legata affettivamente ad Hermes, e questo rendeva certamente più penoso quel momento di commiato.
Disse fra le lacrime: Non riesco a superare il dolore che mi procura la tua lontananza e mi risulta penoso il solo pensare di distaccarmi da te…

Hermes, con tenerezza, la rimproverò: Proprio tu, Maria, parli di lontananza, creando così una distanza tra noi. Nessun luogo ci rende distanti, se non l’atteggiamento interiore, perché è solo la coscienza che amministra e regola lo spazio e il tempo dell’esistenza: intendo dire che nessuno è lontano, se noi non lo pensiamo tale, così come nessuno “non è più” se noi continuiamo a sentirlo e a viverlo presente in noi. È solo nella nostra coscienza che noi collochiamo, vicini o lontani nel tempo e nello spazio, gli individui e gli oggetti che ci circondano. Se io ti porterò nel mio cuore, e questo è certo, non ti vivrò mai come lontana, e quindi ti chiedo di tenermi vicino a te, anche quando non vedrai più il mio corpo. Solo se voi tutti mi allontanerete non incontrandomi più nella vostra coscienza, solo allora, potrei veramente sentire il peso della mia solitudine, ma finché mi sentirò presente nei vostri pensieri, nessuno di noi sarà lontano e il nostro lavoro continuerà come sempre. E poi a te, Maria, chiedo di essermi particolarmente vicina’ nel “momento del passaggio”, perché l’aiuto di chi ci ama è specialmente importante in quel momento.

Maria, stupita, domandò: Se te ne vai, come farò a sapere quando sarà quel momento…

Hermes sorrise e la rassicurò: Lo saprai, perché te lo comunicherò e, se tu mi avrai tenuto vicino al tuo cuore e alla tua mente, lo percepirai.

Fu allora che Camillo si fece coraggio e gli domandò: In che modo possiamo aiutarti, noi amici e fratelli spirituali, in questo momento così particolare della tua vita, senza turbare il tuo bisogno di solitudine?

Hermes lo guardò con affetto e rispose: Apprezzo molto questa tua offerta di aiuto, perché, così come credo che ci si possa aiutare nel vivere, penso che a maggior ragione ci si possa aiutare nel morire. Per aiutare chi muore è necessario conoscere e apprezzare la morte nel suo valore e nel suo significato, che è innanzitutto processo di purificazione e di liberazione da compiti esauriti e da ciò che ha avuto uno scopo, ma che ormai non ha più significato di persistere. In questo senso è da accettare con vero sollievo, e direi quasi gratitudine, la liberazione dal nostro corpo fisico e da tutte le occupazioni, anche le migliori e le più importanti, che ci hanno impegnato fino a quel momento. Il ritmo della natura è sempre perfetto e benefico nella sua manifestazione, da quello della veglia a quello del sonno, da quello delle stagioni a quello dei cicli planetari, e perciò un atteggiamento di benevolenza e di buona accoglienza alla morte è il viatico migliore. Se poi questo evento avviene con l’aiuto di amici fidati e consapevoli, è quanto di più sublime possiamo aspettarci da madre natura: trovare chi ci aiuta e ci accompagna con il proprio pensiero e con i propri sentimenti verso la luce ci protegge da ogni pericolo e da ogni tentazione di rimpianto e di attaccamento al passato.
Un pensiero del gruppo, collegato a tal fine, può spingere la coscienza di chi muore molto più rapidamente verso la nuova dimora, così come, analogicamente, un’accoglienza cosciente e ben preparata può facilitare la nostra nascita. Se morire è nascere alla luce, come io credo e affermo, è davvero una fortuna avere degli aiutatori fraterni e consapevoli e io non posso che rallegrarmi nell’aver trovato amici preziosi, disposti ad aiutarmi a morire meglio, per arrivare prima ai tesori dello Spirito. E di questo, Camillo, ti ringrazio con tutto il cuore.

Cesare fino allora era rimasto in silenzio, tenendo a freno il tumulto di sensazioni, di impulsi e di pensieri che gli avevano procurato fin dall’inizio le parole di Hermes. Teneva strette nel suo cuore tutte le tensioni e i sentimenti che gli ribollivano dentro, e questo lo portava, quasi inavvertitamente, a serrare le mascelle, in un controllo forzato di un silenzio difensivo.

Hermes si accorse che, a poco a poco, aveva parlato con tutti ma non con lui. Si volse lentamente sulla poltrona e lo fissò a lungo negli occhi. Negli sguardi che si incrociarono, entrambi videro guizzare le fiamme riflesse dal camino, quasi si verificasse un contatto di fuoco tra i due vecchi amici.
In quegli attimi Hermes ebbe la certezza che la coscienza di Cesare era ormai “infuocata”, come se il fuoco profondo, che è in ciascuno di noi, fosse divampato in lui con una veemenza particolare e, fissandolo sempre negli occhi, gli disse: Da te non mi aspetto domande, voglio solo risposte e credo proprio che il fuoco che arde in questo camino sia il testimone migliore per un patto spirituale tra noi due. Ti investo perciò della responsabilità di guidare in futuro, come già stai facendo, questa Comunità e di trasmettere il fuoco a tutti coloro che hai vicino e a tutti quelli che si avvicineranno in futuro. Questa è una responsabilità da accettare e voglio da te, in presenza di tutti, una risposta chiara.

Cesare soffocò a stento la sua commozione, ma l’ardore che lo aveva investito lo aveva reso fremente e quando parlò le sue parole acquistarono una vibrazione particolare che si diffuse nell’ambiente. Disse: So che non morirai, così come non muore il fuoco della vita che tutto pervade e tutto trasforma. So che la tua forza e la tua guida saranno più potenti e più vicine alla Comunità di quanto lo siano state in passato. So che la tua missione è appena iniziata e continuerà con sempre maggior potenza ad espandersi nel mondo. So che il tuo amore ci terrà collegati e ci unirà al Cielo comune. So che non ti tradirò e non tradirò mai l’ideale e il compito a cui, come gruppo, ci siamo dedicati.
Parlò con veemenza e quindi, con uno scatto, si allontanò dalla sala.

Hermes non aggiunse nulla alle parole dell’amico. Sembrò solo più sollevato e quasi più giovane, come se avesse riconosciuto, in quello sfogo impetuoso di Cesare, un’immagine della sua gioventù, quando, ascoltando un vecchio saggio parlare, aveva sentito accendersi una specie di fuoco interiore che inizialmente lo aveva disorientato, ma poi aveva scoperto essere l’energia del proprio Sé che chiedeva a gran voce la realizzazione di un compito spirituale a cui, in seguito, egli avrebbe interamente dedicato la propria vita.
Le pareti della sala riflettevano le fiamme del focolare che sembravano trasformarsi in fantasmi inquieti che si inseguivano fra loro, senza mai riuscire a prendersi. Tutti i presenti erano assorti nelle loro riflessioni, e un silenzio totale conteneva i sentimenti più diversi che si agitavano nella coscienza del gruppo.
Fu solo dopo parecchi minuti che Cesare rientrò nella stanza e, non trovando più Hermes, apostrofò gli amici: Perché non mi avete chiamato prima che Hermes se ne andasse?
Tutti si voltarono stupiti, e solo allora si accorsero che era scomparso e nessuno di loro se ne era reso conto.
Si alzarono e corsero alla porta, cercando di rintracciarlo. Li accolse un cielo simile a un grande manto color indaco che sembrava proteggere e accompagnare la figura, appena percettibile all’orizzonte, di Hermes che si allontanava con passo tranquillo e deciso per incontrare l’amata solitudine.

 

Sergio Bartoli
In: “Poggio del Fuoco” – Quaderno della Comunità di Psicosintesi di Città della Pieve
N. 17 – “Beata solitudo” (novembre 1996)

Image Credit:  Der Wanderer über dem Nebelmeer (viandante sul mare di nebbia)
di Caspar David Friedrich